“Starting with love, respect and dignity is a lesson we can all practice more often” Tara Shupe
Con più di un milione di volontari stranieri in viaggio ogni anno (armati di cellulare e macchine fotografiche), il mondo della cooperazione finisce inevitabilmente sui feed Facebook e Instagram di un’infinità di persone. Ma a volte non è correttamente rappresentato! Vediamo qual è il peso delle immagini (anche quelle dei social) nella narrativa del settore dello sviluppo internazionale e come il volontariato internazionale dovrebbe preoccuparsi dell’etica delle foto.
Il potere delle immagini nel settore dello sviluppo
Le Ong usano tantissimo il visual storytelling come strumento di marketing, per raccontare la loro causa ed il loro lavoro. Le immagini, infatti, sono potenti canali di comunicazione che catturano l’attenzione dello spettatore e lo rendono più recettivo nei confronti del messaggio dell’organizzazione.
Ma qual è il messaggio che deve passare? In passato si usava fin troppo il “poverty porn” che andava dritto al senso di commiserazione e di colpa dell’osservatore. Oggi, per fortuna, si parla soprattutto di “empowerment“, dando vero protagonismo alle persone ritratte e alle sfide da loro vinte. Ed ecco che uomini, donne e bambini diventano, nello storytelling come nella mente degli osservatori, artefici coraggiosi del proprio destino.
E i volontari? Sono consapevoli del potere delle immagini?
Attraverso gli occhi dei volontari
Con circa 1.6 milioni di persone che fanno volontariato in un paese straniero ogni anno, c’è un flusso importante di immagini non-istituzionali che, volenti o nolenti, contribuiscono a nutrire l’immaginario collettivo legato alla cooperazione.
La bravissima fotografa umanitaria Tara Shupe riconosce ai volontari una reale responsabilità non solo nei confronti della comunità di accoglienza, ma verso l’Ong per la quale lavorano. Dice infatti:
“Se stai facendo volontariato con un’organizzazione, NON sei un foto-giornalista. Rappresenti direttamente l’organizzazione alla quale sei legato. Credo che tu possa condividere foto della tua esperienza, ma devi farlo senza perdere di vista l’etica e NON permettere a nessuno di usare le tue foto senza aver realmente compreso la situazione.”
I volontari, spesso, non sono consapevoli dell’impatto che le loro pubblicazioni possono avere sul settore, sulla comunità o sull’organizzazione. Soprattutto, sono scarsamente informati su come renderle più funzionali al bene della comunità e dei progetti di cooperazione.
“In molti casi, questi fotografi (ndr: i fotografi umanitari) catturano situazioni personali e delicate, provocando vergogna, fuorviando l’osservatore o dando un’immagine negativa della cultura e della gente” mette in guardia la nostra esperta.
È per questo che alcune associazioni, tra cui Añañau in Perù, aggiungono una clausola relativa alle foto scattate dei volontari all’accordo firmato da entrambe le parti. In molti casi, queste sono proibite; in altri, regolamentate. L’importante è che il volontario capisca che anche le foto, se scattate in contesti di vulnerabilità, sono troppo potenti per essere prese con leggerezza.
Le foto che “fanno bene” al volontariato internazionale
La regola d’oro è questa: dignità. Ma come fare perché le nostre foto non ledano la dignità delle persone o dei contesti che decidiamo di ritrarre?
1. La prospettiva
Le foto scattate dal basso suggeriscono ammirazione, venerazione. Quelle scattare dall’alto, invece, danno l’idea di dominio sul soggetto della foto. Quando usiamo un cellulare o una macchia fotografica, cerchiamo di ritrarre sempre i nostri soggetti in condizioni di parità.
2. Il momento opportuno
Noi volontari non siamo giornalisti ed il nostro obiettivo primario non è quello di fare foto (con le dovute eccezioni). La nostra missione non è ritrarre la comunità in tutti gli aspetti della realtà quotidiana anche se è comprensibile il desiderio di portare a casa ricordi indelebili dell’esperienza. Cerchiamo quindi di trovare il giusto spazio per tutto: releghiamo le foto a specifici momenti di svago, esplorazione o scambio. Per il resto, abbiamo del lavoro da fare!
3. Il permesso
Per non essere invadenti, o addirittura sgraditi, evitiamo di scattare foto senza il consenso dell’organizzazione e delle persone coinvolte. Rispettiamo la loro intimità e privacy.
4. La comprensione del contesto
Non è una buona idea scattare foto di eventi o contesti che non siamo in grado di comprendere. Potremmo commettere gravi passi falsi dovuti alla nostra ignoranza rispetto alla cultura e sensibilità locale, offendendo profondamente le persone coinvolte.
5. I bambini
I bambini sono il soggetto più popolare quando si parla di volontariato, ma dobbiamo fare attenzione. Scattare solamente foto di bambini che giocano con i volontari stranieri rischia di alimentare l’idea stereotipata che i piccoli sarebbero soli e abbandonati se non fosse per “questi generosi stranieri”. Sappiamo che non è così. Cerchiamo quindi di ritrarli anche nel contesto della loro comunità, con genitori, tutori, educatori, famigliari e amici.
5a. I bambini (parte seconda)
C’è un’altra considerazione da fare sui bambini, e cioè che spesso amano farsi fare le foto! Gli adulti della situazione, però, siete voi. Non abusate della loro disponibilità e ricordate che il trattamento dei diritti d’immagine del minore dipende dal consenso del genitore o tutore. Tenetelo a mente, anche se questo regolamento non viene direttamente imposto nel contesto della vostra missione. A voi farebbe piacere che uno sconosciuto facesse decine di foto a vostro figlio mentre questo gioca al parco?
6. Lo scambio alla pari
Quando scattiamo una foto che rappresenta i volontari durante lo svolgimento della loro missione, cerchiamo di ritrarre tutti i soggetti della foto come individui di pari dignità. Evitando i paternalismi, raccontiamo solo il volontariato dello scambio, dell’interculturalità e del servizio.
7. L’empowerment
I membri della comunità di accoglienza e la popolazione con cui lavoriamo hanno doti, capacità e storie che vale la pena raccontare. Diamo visibilità al fatto che le comunità “si salvano da sole” perché hanno membri coraggiosi, determinati e generosi che li guidano.
8. Foto di profilo?
Quando stai per pubblicare la foto di un bambino o di un adulto sui tuoi social, chiediti sempre se a te andrebbe di essere ritratto così. Disordine, facce stanche, contesti imbarazzanti… È così che ritrarresti te ed i tuoi amici? I soggetti della foto sarebbero d’accordo?
9. No è no
Se l’ente o la comunità di accoglienza ti chiedono di non scattare foto, non scattarle! Se i genitori o i tutori del bambino non gradiscono le foto, non farle!
10. Il contatto
Alla fine, molto dipende dal tipo di contatto che viene stabilito con i soggetti delle foto. Ci può essere un rapporto amicizia e complicità, magari basato sulle relazioni di lavoro o su un’intesa immediata. Ma ci può anche essere diffidenza, o distanza. Tenete presente che tipo di rapporto esiste con le persone a cui desiderate scattare una foto ed agite di conseguenza.
Per maggiori informazioni sul tema, puoi consultare il blog di Tara Shupe o il sito di NGO Storytelling.
Approfondisci il tema dell’etica del volontariato con il corso di Formazione al Volontariato Internazionale di Ayni Scuola.
Foto di copertina: Tara Shupe Photography