Volontariato in Kenya con Oasis Mathare

Volontariato autonomo all’estero: tra libertà e ostacoli

Ormai non vi sarà sfuggito che, a noi di Ayni, il volontariato autonomo e diretto piace proprio tanto. Perché ti dà la libertà di partecipare attivamente alla progettazione della tua collaborazione. Perché non ci sono date fisse e obbligatorie. Perché tutti i contributi economici vanno direttamente al progetto e alla comunità che hai deciso di sostenere. Ma in tutta onestà bisogna riconoscere che fare volontariato autonomo non è sempre così facile.

Organizzazioni organizzate… ed altre un po’ meno

Il motivo numero uno che ci spinge a promuovere il volontariato autonomo è il fatto che, molto spesso, le organizzazioni locali sono più che attrezzate per ricevere, orientare e coinvolgere i volontari. Cosa che, ovviamente, rende totalmente superfluo l’intervento di un intermediario.

Ma non è sempre così. Ci sono piccole organizzazioni, animate dalle migliori intenzioni, che non sono poi così brave a gestire un programma di volontariato. E fattori linguistici e culturali possono portare a fraintendimenti o disguidi. Per capirci meglio, andremo ad esplorare alcuni esempi.

Una lingua comune

Parlare la stessa lingua è fondamentale per essere in grado di organizzare l’esperienza. Dalla definizione delle date al luogo dell’appuntamento, passando per la progettazione del proprio intervento nell’organizzazione: poter comunicare via mail o Skype è totalmente necessario.

Alcuni direttori, seppur abilissimi nello svolgimento del loro lavoro a livello locale, non sono in grado di parlare bene l’inglese. Se questo non costituisce un grande problema in America Latina, dove la maggior parte parlano almeno o spagnolo o portoghese, e neanche in Africa, grazie al francese e al portoghese, le cose si complicano in Asia.

Un’esperienza strutturata?

Una volta abbattuta la barriera comunicativa, si passa ai piccoli ostacoli nell’organizzazione dell’esperienza. Bisogna parlarsi chiaro, e mettere sul tavolo le aspettative di ognuno. Nelle piccole organizzazioni la struttura e la progettazione sono molto più vaghe di quello che ci potremmo aspettare.

Cosa significa? Che gran parte del tuo ruolo nell’organizzazione verrà definito in base alle necessità del momento in cui arriverai; che gli orari saranno molto elastici; che dovrai magari ricordare agli organizzatori che la tua permanenza sarà breve e che è meglio darsi da fare subito, prima che tu vada!

L’esperienza di una volontaria

Il tempo è relativo?

Sebbene l’elasticità del programma sia in gran parte dovuta a fattori culturali (una diversa visione del tempo), a volte la “vaghezza” degli organizzatori può superare i limiti del tollerabile. È il caso di una volontaria che, pochi mesi fa, si è recata in Asia per un volontariato. Con solo due settimane a disposizione, sperava di arrivare e mettersi subito all’opera, per non perdere tempo ed avere il massimo impatto possibile sulla comunità.

Le sue date di permanenza erano state confermate con mesi di anticipo, così da permetterle di acquistare i voli e preparare il viaggio. Una volta giunta sul posto, però, si rende conto che le classi alle quali avrebbe dovuto insegnare erano tutte in vacanza perché quella era la settimana del capodanno locale.

Era rimasta solo una bimba nel centro, che aveva l’attenzione delle due volontarie tutta per sé! Ci sarebbero voluti giorni prima che le famiglie tornassero a casa ed i bambini al centro. Cos’era successo? Che il direttore del programma non si era reso conto che la volontaria sarebbe arrivata durante i giorni di inattività, o che la cosa non gli era sembrata così importante da essere menzionata.

E per tutti coloro che staranno pensando che l’organizzatore l’ha fatto per intascare comunque la quota, sappiate che non è così. Non c’era nessuna quota da pagare. La volontaria non si è fermata neanche un giorno nella casa dei volontari, preferendo una sistemazione in albergo nel paese più vicino.

Il ruolo del volontario internazionale

Le piccole organizzazioni locali che accolgono volontari nei loro progetti, lo fanno per diversi motivi: perché hanno un effettivo bisogno di aiuto; perché vogliono farsi conoscere nella speranza che i volontari diventino un giorno donatori; perché le quote pagate dai volontari sono per loro un mezzo di sostentamento.

In ogni caso, non tutte hanno una profonda comprensione di ciò che il volontariato può rappresentare a livello internazionale. Mi riferisco ai valori della solidarietà, dell’intercuturalità e della cittadinanza globale attiva, parole tanto usate dalle associazioni di volontariato in Europa, e anche da Ayni.

Il ruolo del volontario è visto in modo più pratico. Il volontario dà una mano ed in cambio deve poter vivere l’esperienza che desidera. Certo, ma quali sono le aspettative dei volontari? Ogni organizzazione la pensa a modo suo. Di conseguenza, c’è che propone ai volontari un programma full-time pieno di attività, e chi invece se li porta in giro a visitare le comunità che sostengono senza che ci sia veramente del lavoro concreto da fare.

L’esperienza di una volontaria

Il volontario che fa l’elemosina

La maggior parte di coloro che usano il portale di Ayni per fare volontariato, cercano opportunità significative per mettere le loro capacità al servizio di una buona causa. Ed è proprio quello che cercava una volontaria che abbiamo conosciuto quando si è recata in Africa come consulente per lo sviluppo ed il marketing.

Il suo obiettivo era quello di aiutare i gruppi di donne e artigiane locali a migliorare la gestione della propria economia e di quella delle loro famiglie. Doveva anche lavorare con l’organizzazione di accoglienza per parlare di pianificazione strategica a lungo termine.

Una volta sul posto si è resa conto di una cosa. Alcuni gruppi di donne erano certamente molto interessati ai suoi laboratori e la riconoscevano come formatrice (alcuni l’hanno anche contattata in seguito per dirle che avevano seguito i suoi consigli con ottimi risultati!). Altri però prestavano veramente poca attenzione e alla fine si avvicinava qualcuno (o una delle donne o il pastore locale) per chiederle dei soldi.

L’organizzazione di accoglienza faceva poco o nulla per scoraggiare questi tentativi, dimostrando che per loro il volontario poteva benissimo svolgere la funzione di “bianco ricco che fa l’elemosina”, contro ogni principio di volontariato etico. Magari è proprio quello che fanno la maggior parte dei volontari ed è per quello che i gruppi chiedevano soldi alla volontaria incaricata della loro formazione con tanta naturalezza, dopo non aver ascoltato neanche una parola della sua presentazione.


Con questi racconti e queste parole, speriamo di non averti dissuaso dall’intraprendere un’esperienza di volontariato autonomo! Perché è una delle esperienze più appaganti ed istruttive che ci possano essere. Tuttavia, in pieno spirito Ayni, riteniamo che sia più che doveroso non nascondere gli ostacoli che potresti incontrare sul tuo cammino.

Prossimamente torneremo a parlare di volontariato autonomo e di come superare eventuali inconvenienti per vivere un’esperienza indimenticabile.

Foto di copertina: Oasis Mathare

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