Mentre nel nostro Paese e in tutta l’Europa si parla di riapertura, si ricomincia a viaggiare e si torna finalmente ad una parvenza di normalità, nel resto del mondo le cose vanno diversamente. Ad esempio, in Uganda, la popolazione sta affrontando, insieme ad un aumento preoccupante dei contagi, una gravissima crisi socio-economica dovuta al lockdown. Una crisi che ha portato ad un drammatico incremento dei casi di violenza domestica ai danni delle donne. Ce ne parla Hellen, direttrice e fondatrice, di Rape Hurts Foundation.
Com’è stata affrontata la pandemia in Uganda?
Di fronte alla diffusione del COVID-19 all’interno del Paese, racconta Hellen, il governo ugandese ha seguito l’esempio di molti altri paesi: ha dichiarato lo stato di emergenza ed imposto il lockdown. Edifici pubblici come scuole, mercati e palazzetti sportivi sono stati chiusi, così come le frontiere. Il servizio di trasporti pubblico è stato sospeso. Alla popolazione è stato chiesto di osservare un coprifuoco notturno (dalle 19:00 alle 6:30) e di rispettare un distanziamento sociale pari a 4 metri.
Chiaramente, queste misure di sicurezza hanno messo in crisi il sistema economico e, nonostante la riapertura parziale di queste ultime settimane, il Paese versa in condizioni davvero critiche con un aumento sostanziale della disoccupazione, il fallimento di numerosi esercizi commerciali e l’innalzamento dei livelli di povertà. Le distribuzioni di generi alimentari, purtroppo, non sono state sufficienti a soddisfare la crescente richiesta di una popolazione ulteriormente impoverita.
Quali sono state le conseguenze?
Le difficoltà economiche delle comunità, continua Hellen, hanno rapidamente portato ad un inasprimento delle tensioni sociali ed aumentato il carico socio-emotivo per coloro che, fino a poco tempo fa, lavoravano per mantenere la famiglia. Ed in un contesto di confinamento forzato, queste tensioni si traducono in episodi di violenza domestica, stupro coniugale, liti e abusi di vario tipo. Hellen ci racconta che le denunce per violenza domestica sono aumentate a 4.000 al mese. E chissà quanti casi non vengono denunciati.
La violenza di genere, poi, non si limita alle mura domestiche: “Le privazioni e la fame sofferte dalle famiglie hanno portato donne e bambini ad abbandonare le propria casa per trovare cibo altrove. Questo, purtroppo, molte volte ha condotto alla prostituzione e ad ulteriori casi di violenza sessuale. Con il lockdown abbiamo visto un aumento degli stupri, anche ai danni di giovani donne” dice Hellen.
Cosa avete fatto per far fronte a questa drammatica situazione?
La sua fondazione, Rape Hurts Foundation, che dai primi anni di attività ha già soccorso 850.000 donne e bambini vittime di violenza di genere, non è rimasta a guardare. Durante il lockdown hanno distribuito 4 volte pacchi alimentari a ben 153 famiglie in condizioni di povertà estrema. Hanno inoltre intensificato le comunicazioni via radio per far sapere alle vittime dove e come avrebbero potuto ottenere assistenza sanitaria e consulenza legale. Grazie alle consulenze telefoniche e alle dotazioni anti-COVID per tutti gli operatori della fondazione, RHF non ha mai smesso di rispondere alle richieste di aiuto che riceveva.
Abbiamo chiesto a Hellen se prevedeva un evolversi della situazione nei prossimi mesi. Ci ha risposto così: “Mi aspetto che la situazione rimanga invariata fino a quando il Paese non recuperi un minimo di stabilità economica. Molti sono ancora senza lavoro, soprattutto nei settori del turismo e dell’educazione. Anche i luoghi di culto sono ancora chiusi. Il numero di lavoratori licenziati è tuttora in aumento, quindi la disoccupazione è destinata ad crescere e questa è una delle cause principali di violenza domestica”. Il peggio deve ancora venire.