La scelta del cooperante

Silvia Aisha Romano e la scelta del cooperante

Dopo 18 mesi di prigionia, mesi di angoscia, solitudine ed incertezze, torna finalmente in Italia Silvia (Aisha) Romano, la volontaria rapita in Kenya a soli 23 anni. La notizia fa il giro dei media, ma non tutti si uniscono al sollievo di sapere che una giovane vita è stata risparmiata. E neppure condividono la felicità di una famiglia che è stata riunita (proprio il giorno della festa della mamma!). Piovono critiche e commenti: islamica, traditrice, egoista! Uno più degli altri ci colpisce:

“Perché non sei rimasta a casa tua?”

Perché noi volontari internazionali, noi cooperanti non rimaniamo a casa? Ecco perché.

La cooperazione internazionale allo sviluppo

La cooperazione internazionale allo sviluppo non è un capriccio, né un atto di egoismo. È parte integrante della politica estera di molti paesi, tra cui l’Italia (vedi riforma del 2014) . È opinione diffusa (e non tra noi volontari “egoisti”, ma tra accademici ed esperti) che il benessere, la sicurezza e la salute siano obiettivi che, per essere realmente sostenibili, debbano essere conquistati su scala globale, come dimostra l’approccio adottato per definire gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile delle Nazioni Unite.

E gli OSS ci ricordano anche che non solamente lo sviluppo dipende dalle Istituzioni, ma anche dalla società civile e quindi dagli enti non governativi.

Istituzioni e Ong, insieme, fanno cooperazione internazionale. E a loro volta, cooperanti e volontari fanno cooperazione per le istituzioni e per le Ong (inteso qui genericamente come organizzazione non governativa). Cosa significa “fare cooperazione”? Significa svolgere tutt’una serie di attività complementari che hanno come fine ultimo quello di favorire lo sviluppo sostenibile a livello sociale, ambientale ed economico per combattere la povertà e le diseguaglianze nel mondo.

È forse questa una posizione da sognatori con “smanie di altruismo”?

Sono proprio le Nazioni Unite ad affermare che l’unico modo per ottenere stabilità a livello globale, e non vedere crollare tutto ciò che è stato costruito negli ultimi decenni (anche in Italia), è quello di investire nello sviluppo globale e nel benessere di tutti. Che in fondo, se proprio vogliamo esprimere questo concetto nel modo più elementare possibile affinché tutti lo possano capire, significa proprio “aiutarli a casa loro”.

Silvia-Aisha, nel suo piccolo, stava contribuendo a questo valido ed essenziale obiettivo mettendosi al servizio di un’associazione italiana operante in Kenya. E chi dice che fosse in Africa solo “per far giocare i bambini” non comprende che il gioco per un bambino è educazione, e che l’educazione “è l’arma più potente che puoi usare per cambiare il mondo” (Nelson Mandela).

La scelta del cooperante che non rimane a casa

Il cooperante è un individuo che fa una scelta professionale: lavorare per la cooperazione internazionale. Ad oggi, la professione del cooperante è molto ambita, e non perché si guadagni tanto (perché non si guadagna tanto). Molti giovani scelgono di intraprendere il percorso accademico e professionale che porta alla cooperazione perché questa carriera permette di coniugare le necessità retributive con la soddisfazione di fare un lavoro che beneficia in modo diretto le vite degli altri.

Come l’infermiere, l’insegnante o altre professioni di questo tipo, anche fare il cooperante può essere considerato un po’ più di un lavoro, quasi una vocazione.

Ci sono cooperanti che “rimangono a casa” e sono coloro che lavorano negli headquarters delle istituzioni o Ong nelle grandi città italiane. E ci sono cooperanti che non “rimangono a casa” perché per realizzare le attività di cui si parlava prima è ovviamente necessaria la presenza di professionisti sul campo. Il cooperante non va all’estero per capriccio. Ci va perché è il suo lavoro! Ed è compito dell’organizzazione o dell’istituzione che l’ha assunto fare di tutto per garantirne la sicurezza, sia in Italia che all’estero. Se poi, nonostante le precauzioni, il cooperante è vittima di un attentato o di un rapimento di chi è la colpa? Non certo dell’individuo. E neanche dell’ente, se questo ha fatto tutto ciò che era ragionevolmente possibile per garantirne la sicurezza. Nel mondo, ci sono terroristi e criminali di ogni genere, e dobbiamo pensarci due volte prima di dare la colpa alla vittima.

Per approfondire le differenze tra volontari e cooperanti leggi questo articolo

La scelta dei volontari

Il volontario non parte per lavoro, ma nemmeno parte per iniziativa individuale o capriccio personale. Il volontario parte perché la sua presenza, il suo contributo e le sue competenze sono richiesti o anche solo accolti da un’istituzione o da una Ong che realizza progetti di sviluppo e solidarietà. E che a sua volta opera all’estero non per capriccio o per ideologia politica, ma perché crede (così come credono le Nazioni Unite) che solo attraverso lo sviluppo globale potremo godere tutti di benessere, salute e sicurezza (cose già dette, ma non fa male ripeterle).

Come nel caso del cooperante, anche la sicurezza del volontario viene affidata all’istituzione o alla Ong che lo accoglie. E se, nonostante tutte le accortezze del caso, succede qualcosa di spiacevole e tragico, davvero ci ostiniamo a dare la colpa alle vittime?

La sicurezza dei volontari e dei cooperanti

Invece di insultare ed umiliare una ragazza di 24 anni perché (come più di un milione dei suoi coetanei ogni anno) è andata all’estero a fare volontariato, o perché ha scelto di sostenere una Ong italiana che operava legalmente in Kenya, o perché ha deciso di donare il suo tempo per dare forza ad un progetto di sviluppo comunitario; piuttosto che perdere così il nostro tempo potremmo usare le nostre energie per dibattiti di altro tipo.

Ad esempio chiederci: i protocolli nazionali o internazionali per garantire la sicurezza di tutti i cooperanti ed i volontari che fanno cooperazione per conto delle nostre istituzioni ed Ong sono aggiornati (protocollo 2015)? E se esistono, vengono opportunamente diffusi in modo che tutti gli enti (e magari anche i volontari) ne siano a conoscenza? E se questo viene fatto, allora chiediamoci se tutte le Ong e le associazioni li rispettano. Ciò che è successo a Silvia dovrebbe farci riflettere su questioni di questo tipo e non sulla sua conversione o sull’eventualità del suo stato di gravidanza. Perché quelle sono questioni personali e totalmente irrilevanti!

E no, il fatto che sia stata probabilmente rilasciata in seguito al pagamento di un riscatto non limita in nessun modo le sue libertà personali né il suo diritto alla privacy.

Può essere che Silvia, i volontari ed cooperanti non siano eroi. Anzi, è probabile che non lo siano. Ma sono persone che hanno fatto una scelta nel pieno dei loro diritti e senza contravvenire a nessuna legge o decreto. Sono professionisti ed individui che operano in un contesto non solo legale, ma riconosciuto e promosso dal nostro Paese e dalla comunità internazionale: la cooperazione. Sì, può essere che qui non ci sia nessun eroe, ma fate un favore alla libertà di parola: smettetela di usarla per infangare una ragazza di 24 anni.

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