L'Africa e le associazioni di volontariato di fronte al coronavirus

L’Africa e le associazioni di volontariato di fronte al Coronavirus

Cosa significa affrontare il Coronavirus se sei un abitante degli slum di Nairobi o delle campagne del Togo? Come si prepara l’Africa per fronteggiare questa ennesima emergenza sanitaria? Ma, soprattutto, che ruolo hanno le associazioni che fanno parte dell’Ayni Network? Una panoramica sull’emergenza COVID-19 in Africa per capire perché è importante continuare a dare una mano, anche da remoto.

La campagna #volontariacasa ha coinvolto più di 100 persone. Bloccati a casa, in Italia o all’estero, i volontari della comunità di Ayni hanno cominciato a donare il proprio tempo e le proprie competenze professionali de remoto (online), per unirsi all’instancabile lavoro delle piccole associazioni locali che operano sul territorio. La creazione di questa rete di sostegno è importantissima per le associazioni di cui stiamo parlando. Questi sono tempi difficili in cui proteggere le comunità è complicato, reclutare volontari impossibile e raccogliere fondi un’impresa non da poco.

Molti volontari della nostra comunità hanno cominciato a collaborare con piccoli enti dell’Africa Subsahariana.

Cosa significa il COVID-19 per l’Africa?

Alla fine, il Coronavirus ha raggiunto anche l’Africa e si teme il peggio. Le caratteristiche di questo virus e le problematiche di questo continente, insieme, minacciano di portar via moltissime vite innocenti. Per questo bisogna agire subito, come ha esortato a fare l’Organizzazione Mondiale della Sanità.

Ai primi di aprile, i contagi in Africa sono già più di 5.000. O questo dicono i dati. In realtà è difficile saperlo viste le limitate capacità di riconoscimento e monitoraggio dei paesi africani. L’Africa ben conosce le epidemie: pensiamo ad esempio all’Ebola, che in tempi veramente recenti ha messo in ginocchio intere comunità. Ma per quanto l’Ebola fosse, e sia, terribile, ci sono almeno 3 aspetti che rendono il Coronavirus ancora più insidioso e difficile da controllare:

  • i sintomi possono essere lievi o inesistenti
  • si trasmette per via aerea
  • i sintomi, se ci sono, tardano qualche giorno a manifestarsi

Cosa può fare l’Africa contro il Coronavirus?

Agire in fretta, prima che il virus si propaghi, è fondamentale. Se il COVID-19 raggiungesse le grandi metropoli africane ed i loro insediamenti informali, dove famiglie allargate condividono pochi metri quadrati di abitazione, sarebbe veramente terribile. E la situazione non è meno drammatica nelle campagne dove la mancanza di mezzi di informazione rende particolarmente difficile istruire la popolazione sui rischi del virus e le misure da adottare. Per non parlare poi del fatto che, sia in campagna che in città, l’accesso all’acqua è limitato.

I sistemi sanitari nazionali, sia pubblici che privati, sono purtroppo carenti:

  • In Italia ci sono circa 376 medici ogni 100.000 abitanti. In Guinea, Liberia e Sierra Leone ce ne sono 4,5
  • Nel nostro paese solo l’1% della popolazione muore a causa di malattie infettive. In Africa, il 40%
  • In Italia, all’inizio dell’emergenza, c’erano 5.324 posti di terapia intensiva (adesso ce ne sono di più). Invece, in tutto il Kenya ce ne sono 150, 50 in Senegal, 38 in Tanzania, 45 in Zambia e 0 in Sud Sudan.

(dati e informazioni chiave da Huffpost)

Cosa può fare l’Africa per evitare la catastrofe? La parola d’ordine è agire, agire nel più breve tempo possibile. Mentre i governi varano misure contenitive ed impiegano i loro eserciti e forze di polizia per farle rispettare, le associazioni comunitarie, i collettivi e le congregazioni religiose hanno il difficile compito di diffondere le notizie, informare la popolazione, istruirla e proteggerla affinché, tutti insieme, si possa contrastare la propagazione di questo virus.

Le associazioni, il volontariato ed il coronavirus

In Africa sono moltissime le piccole associazioni non-profit che, grazie ai contributi nazionali ed internazionali, forniscono servizi base quali salute ed educazione alle popolazioni più vulnerabili. Sono proprio queste le piccole realtà che attraverso Ayni raccontano le loro storie e chiedono la collaborazione dei nostri volontari.

Oggi le ritroviamo in prima fila di fronte all’emergenza COVID-19. Si fanno portavoce delle misure adottate dai governi, spiegano e rispiegano quanto sia importante mantenere le distanze, evitare gli assembramenti e lavarsi le mani (ammesso che ci sia l’acqua). Sono, insomma, il più potente alleato contro la diffusione del virus e contro le conseguenze socio-economiche che anche l’Africa, come tutti, dovrà affrontare. In realtà, le problematiche non-sanitarie relative al virus non hanno tardato a palesarsi: la sola chiusura delle scuole ha già scatenato un’emergenza nutrizione per migliaia di bambini che contavano sul pasto servito in mensa e ha aumentato drammaticamente il rischio di violenza ai danni delle donne ed i matrimoni per le spose bambine.

Proprio in questo momento cruciale, in cui l’operato delle associazioni diventa così importante per le comunità vulnerabili, le loro risorse vengono meno:

  • Non ci sono più volontari stranieri che contribuiscono con il loro lavoro allo svolgimento delle attività dell’associazione
  • Senza volontari, la possibilità di ricevere donazioni o contributi in cambio di vitto e alloggio diventa minima, inesistente
  • Senza i fondi, è difficile preparasi, e preparare le proprie comunità, all’emergenza ed arginare le conseguenza socio-economiche dell’epidemia.

Le testimonianze dei protagonisti

Togo, la disinformazione

Dal Togo ci scrive Kouakou, presidente dell’associazione Adid Humanitaire che porta avanti progetti di sviluppo a favore delle popolazioni più vulnerabili attraverso il volontariato. Kouakou racconta l’emergenza COVID-19 in Togo, dove il nemico numero uno è la mancanza d’informazione. Il governo chiude strade e mercati, impone norme per il contenimento del virus, ma nella regione rurale dove vive e lavora Kouakou sono pochi ad esserne informati. E così la popolazione non solo è maggiormente esposta al rischio di contagio, ma potrebbe anche trasgredire norme di cui non è nemmeno a conoscenza.

Kenya, affrontare la pandemia in uno slum

In Kenya, associazione Oasis Mathare gestisce un centro educativo per i giovani dello slum di Mathare, uno dei più grandi insediamenti informali del paese. Il direttore, Douglas, ci racconta che c’è molto timore nella loro comunità. Nello slum la densità di popolazione è altissima: le famiglie (allargate) condividono pochi metri quadrati di spazio e le condizioni igieniche sono precarie. Mentre il centro di Oasis ha dovuto chiudere per le recenti disposizioni del governo, tutto il team sta facendo l’impossibile per organizzare una risposta al Coronavirus e proteggere la popolazione.

La nostra comunità, nel suo piccolo, ha fatto sentire il sostegno di Ayni a tutte le associazioni dell’Ayni Network:

  • Per Adid Humanitarie (Togo): realizzazione di poster per sensibilizzare la popolazione alle misure contenitive da adottare (misure del governo).
  • Per Oasis Mathare (Kenya): sono piovute una marea di application per aiutare i nostri amici in Kenya, tanto che una volontaria di Ayni ha dovuto assumere il compito di assegnare lei stessa le mansioni amministrative ai volontari, perché il team in loco non avere le risorse per farlo.
  • Per PARC, CCEDUC, Integrated Villages e Safeplan (Uganda): ancora ai margini dell’epidemia, le associazioni si preoccupano per la propria stabilità e capacità di continuare a fornire servizi essenziali. I volontari li accompagnano con diversi progetti tra cui l’esplorazione di nuove soluzioni ai problemi della comunità attraverso il design thinking, raccolta fondi, comunicazione e gestione delle risorse umane.
  • Per The Nuru Trust (Tanzania): con le scuole chiuse, la cura integrale dei bambini della casa-famiglia ricade sull’associazione. I volontari di Ayni sostengono lo staff con attività di comunicazione e fundraising, e propongono anche attività ludico-educative da svolgere con i bambini e i ragazzi!

Se vuoi contribuire anche tu alla campagna #VOLONTARIACASA visita questa pagina.

 

Foto copertina: Rape Hurts Foundation

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