Il Coronavirus ha sconvolto profondamente non solo le nostre vite, ma anche il nostro modo di intendere la società ed il mondo. Mio zio ha 94 anni e mi ha detto che ciò che stiamo vivendo adesso è per lui ancora più sconvolgente della II Guerra Mondiale perché “dai proiettili dei soldati puoi scappare, dalle bombe degli aerei puoi nasconderti nelle gallerie, ma contro questo Coronavirus sei completamente indifeso”. Anche il volontariato e la solidarietà internazionale cambiano di fronte a questa emergenza globale. Cresce la necessità di immaginare, di creare comunità nuove, senza confini. Abbiamo riscoperto il bisogno l’uno dell’altro, proprio adesso che non possiamo neanche prenderci per mano.
La pandemia è riuscita finalmente a convincerci di una cosa che avremmo dovuto comprendere tempo fa: siamo tutti sulla stessa barca. Certo, come sul Titanic c’è chi viaggia in prima classe e chi si ammucchia nelle cuccette della terza, ma se la barca affonda andiamo giù tutti assieme. Per continuare a galleggiare dobbiamo essere uniti, aiutare chi è più debole e più in difficoltà, mettere a disposizione degli altri le nostre risorse e dimenticare gli individualismi a cui siamo tanto abituati.
Le nostre comunità, di fronte ad un crisi che ci obbliga all’isolamento e all’arresto delle attività economiche, si sono fatte più forti. Non è paradossale? È proprio quando ci hanno obbligato a recidere tutti i legami sociali ed umani che avevamo, che siamo stati capaciti di crearne altri, talvolta ancora più profondi, usando la rete come canale di comunicazione e condivisione. La resilienza degli esseri umani di fronte alle emergenze è davvero spettacolare.
Nuove reti e nuove forme di collaborazione si sono andate formando. I vicini che fanno la spesa per gli anziani. Le abbondanti donazioni ai nostri ospedali (ahimè, a corto di fondi pubblici, ma quello è un altro discorso). I corsi e gli eventi online per aiutare chi vive da solo a sentirsi meno solo. E molto altro ancora.
Di fronte alla paura ha vinto la solidarietà.
L’esperienza di Ayni: un caso da osservare
Anche Ayni, come sapete, è una comunità (di volontari) ed una rete (di piccole organizzazioni senza fini di lucro). Al di là dei servizi di formazione, informazione e coordinamento che possiamo offrire, ciò che ci rende unici e diversi è la nostra piattaforma digitale, uno spazio di incontro e condivisione che anche prima del coronavirus era libero, gratuito e 100% online.
Noi eravamo lì di circa un paio di anni, creando sinergie attraverso il volontariato, cercando di favorire l’incontro tra progetti di sviluppo comunitario e sostenibile (la necessità) e le capacità dei volontari (la risorsa). Eppure mai come in queste settimane la risposta degli italiani era stata così forte, decisa, solidale. Le visite settimanali alla piattaforma sono triplicate. Il numero di offerte di collaborazione da parte dei volontari è quadruplicato. In alcuni settori, abbiamo più offerte di collaborazione che progetti alla ricerca di collaboratori. Non era mai successo.
Cos’è cambiato? La nostra proposta è rimasta più o meno la stessa: pubblicare le richieste delle associazioni (che sono esattamente quelle di prima), raccontarle alla nostra comunità di follower ed accogliere le risposte di coloro che vogliono dare una mano. Il volontariato online, su Ayni, è poi sempre esistito: lo sa bene Apeiron, che lavora solo con volontari online da molto tempo. Eppure le collaborazioni online sono sempre rimaste in secondo piano.
In conclusione, Ayni è cambiato ben poco. Abbiamo solo dato più visibilità alle necessità online una volta che è apparso chiaro a tutti che viaggiare all’estero non era sicuramente un’opzione. Mai ci saremmo aspettati di veder quadruplicare il nostro impatto, in un momento in cui la nostra funzione risulta, per forza di cose, limitata.
Abbiamo osservato, però, che ci sono stati forti cambiamenti nella nostra comunità (i volontari che ci seguono).
Le persone hanno più tempo per pensare agli altri
Chiusi nelle nostre case con la consapevolezza di essere fortunati (perché la casa ce l’abbiamo, perché nelle nostre città esistono ospedali con respiratori, perché abbiamo acqua corrente e sapone con cui lavarci le mani), abbiamo cominciato a pensare agli altri. Di solito, il “tempo per pensare agli altri” è un lusso che nelle nostre società non possiamo permetterci, ma adesso il tempo non ci manca e siamo più recettivi di fronte alle necessità, anche se non sono le nostre.
La consapevolezza di trovarci di fronte alla stessa sfida ci rende più solidali
A tutto questo, possiamo aggiungere che il fatto di aver vissuto nel nostro paese, nelle nostre città e nelle nostre famiglie lo stesso problema che ora affligge tutti paesi, tutte le città e tutte le famiglie ci rende più solidali. Sappiamo quanto sia spaventoso, quanto sia orribile, incontrollabile, spietato verso i più deboli. E siamo quindi più comprensivi quando ci giunge una richiesta di aiuto.
L’isolamento ci porta a cercare connessioni di altri tipo e a “fare rete”
Infine, penso che il terzo fattore che ha determinato una risposta così positiva di fronte alla nostra ricerca di volontari online sia l’isolamento. Esatto, l’isolamento, lo stesso che toglie al volontariato internazionale la sua essenza (l’andare in un altro paese), ha permesso alla comunità di Ayni di ridefinire la solidarietà internazionale attraverso il volontariato, appropriandosi di tutti i canali digitali a disposizione, compresa la nostra piattaforma online.
La nostra speranza per il futuro
Questa pandemia ha fatto emergere tutto quello che non va nel mondo: forti contraddizioni sociali, disuguaglianze, carenze nei servizi di assistenza e via dicendo. Ma ci ha anche obbligato a tirare fuori il meglio di noi, a creare reti e comunità dove rimanevano solo strade vuote e negozi chiusi.
Abbiamo visto gli animali riappropriarsi degli spazi naturali e l’aria diventare più pulita; i cittadini riconoscere finalmente il valore di professioni spesso sottovalutate, come gli infermieri; intere comunità stringersi insieme come non avevano mai fatto quando tutto era “normale”.
E noi di Ayni abbiamo visto bellissime (e tantissime) manifestazioni di solidarietà espresse attraverso un canale che sembra fatto apposta per questi tempi di quarantena e smart working: la nostra piattaforma digitale. Ma quando la quarantena sarà finita cosa succederà? Respingeremo nuovamente i delfini lontani dalle nostre coste? Ci dimenticheremo il nome del vicino con cui facevamo due chiacchiere dal terrazzo?
Spero di no. E spero anche che i fantastici volontari che ci stanno accompagnando in questi giorni non dimentichino le piccole associazioni e le coraggiose realtà con cui hanno cominciato a collaborare: i gruppi di donne nelle campagne ugandesi, i centri comunitari degli slum di Nairobi, i servizi educativi per i villaggi del Guatemala. Che non dimentichino, insomma, la proposta di Ayni, perché di emergenze ce ne sono e ce ne saranno tante anche dopo il Coronavirus. La nostra rete di associazioni ha sempre bisogno di una mano.
Spero che tutto ciò che è stato costruito in questi tempi di Coronavirus ci insegni almeno una cosa: che un mondo diverso è possibile e necessario. Basta volerlo.