“Vado a dare una mano” è questo il primo pensiero per molte persone quando assistiamo impotenti ad emergenze come gli incendi nella Foresta Amazzonica o nel bacino del Congo. Stare con le mani in mano risulta impossibile, donare qualche decina o centinaia di euro (a seconda dei portafogli) non sembra abbastanza. Eppure, a volte, rimanere a casa propria e lasciare il dovuto spazio ai professionisti è proprio la cosa migliore da fare.
Emergenze locali e volontariato
Ayni è una realtà genovese e come tale abbiamo vissuto con forte partecipazione emotiva la tragedia del Ponte Morandi che ha colpito la nostra città ormai più di un anno fa. Ricordiamo ancora perfettamente l’ansia di leggere gli ultimi aggiornamenti dell’ANSA e dei giornali, i messaggi scambiati freneticamente con amici e parenti per sapere se stavamo tutti bene.
E tra tutti gli articoli, le foto ed i video che ci hanno tenuto incollati al cellulare o al computer per ore, abbiamo avuto modo di leggere dei post (della Protezione Civile, di Angeli nel Fango, etc.) il cui messaggio vogliamo oggi condividere con voi. Questi post dicevano: “State a casa”. Spiegavano che in quelle ore non c’era alcun bisogno di volontari. Anzi, che i volontari sarebbero stati d’intralcio allo svolgimento delle attività di soccorso e pronto intervento. State a casa.
Questa storia di emergenze e volontariato locale ci serve come esempio per parlare del fatto che, in molti casi, l’intervento dei volontari in situazioni di emergenza o nelle prime fasi di post-emergenza non è consigliabile, tanto a livello locale come (e forse a maggior ragione) a livello internazionale.
Volontariato internazionale: il caso di Haiti
Per approfondire il tema vi portiamo indietro di quasi una decina di anni, nel lontano 2010, l’anno che ha visto consumarsi una terribile tragedia sull’isola di Haiti: un disastroso terremoto che ha provocato la morte di almeno 230.000 persone, secondo il governo locale (alte fonti danno cifre diverse). Gli ospedali, come gran parte degli edifici pubblici e privati, sono stati distrutti o danneggiati dalle scosse, cosa che ha reso ancora più difficili i soccorsi.
Per far fronte a quest’immane tragedia, il paese ha avuto bisogno di aiuto da parte della comunità internazionale, che non si è fatta attendere. Ong e organizzazioni internazionali sono intervenute tempestivamente portando risorse e personale specializzato per aiutare le istituzioni locali a prestare soccorso (prima) e a cominciare le attività di ricostruzione (poi). Ed insieme a loro sono arrivati migliaia di volontari.
In un articolo della CNN leggiamo che l’agenzia di volonturismo Projects Abroad ha ricevuto in quel periodo il 46% di candidature in più rispetto al solito per i progetti ad Haiti. Giovani e non più giovani, religiosi e non religiosi, da tutte le parti del mondo, i volontari sono arrivati in massa per “dare una mano”. La maggior parte di loro stava pagando quote di almeno un migliaio di dollari, escluso il volo aereo.
L’impatto del volontariato internazionale nell’emergenza di Haiti
Cosa hanno fatto quei volontari sul campo? Certamente non interventi medici, perché non erano qualificati. Né logistici, né tanto meno ingegneristici. Sono stati impiegati per lo svolgimento di mansioni generiche, molto spesso semplici lavori di riparazione e costruzione, trasporto di materiali. Insomma, tutte cose che i tecnici locali, in quel momento di crisi, avrebbero fatto molto volentieri (e meglio) a cambio di uno stipendio. Il molti casi, le loro attività non coordinate con quelle delle istituzioni o delle grandi Ong, sono state di intralcio ai soccorritori.
Habitat for Humanity, una grande Ong che normalmente si avvale del volontariato per portare avanti progetti per la costruzione di case ed abitazioni, ha rilasciato invece questa dichiarazione “Per ragioni logistiche e di sicurezza, non siamo in grado per il momento di portare volontari ad Haiti, e forse ci vorrà un po’ prima che questo sia possibile”.
Insomma, i volontari che hanno affollato l’isola di Haiti subito dopo il terremoto non hanno fatto un favore agli haitiani. Adesso lo sappiamo. Le migliaia di euro che hanno speso per recarsi sul posto e pagare le quote delle agenzie che li hanno portati lì, sarebbero stati spesi meglio come donazioni per finanziare invece l’intervento di professionisti internazionali, ma soprattutto per pagare uno stipendio degno ai lavoratori locali affinché potessero ricominciare a costruire una vita degna per se stessi e per le proprie famiglie.
Cosa fare per contrastare un’emergenza?
Il caso di Haiti non è isolato. Nel 2015, in occasione del tragico terremoto del Nepal che ha provocato circa 9.000 morti e tantissima distruzione, si è vista un’altra irresponsabile “corsa al volontariato”, con conseguenze simili a quelle di Haiti.
Per contrastare un’emergenza, spesso, non c’è bisogno di prendere un aereo. Anzi, forse faremmo meglio a non farlo e a donare quello che avremmo speso per il viaggio ad un’associazione o organizzazione che sappia amministrare nel modo giusto il nostro contributo economico, comprando materiali, progettando strategie, pagando lo stipendio di veri professionisti.
Se invece pensate di avere i numeri per intervenire in casi di emergenza, se avete le qualifiche necessarie, allora affrontate un iter di formazione specifico per questo tipo di missioni ed unitevi come professionisti volontari agli interventi di Ong affidabili.
Il volontariato è uno strumento di solidarietà, ma non può risolvere tutto. E a volte bisogna riconoscere che non è il momento giusto per partire. Così come adesso non è il momento giusto per partire per il Brasile ed andare a spegnere gli incendi. L’Amazzonia ha bisogno di noi, ma dobbiamo aiutarla nel modo giusto. Ecco una lista di cose che possiamo fare per contrastare l’emergenza (oggi e sempre):
(dalla pagina Facebook di Ayni)
- Dona alle fondazioni impegnate sul campo come: Amazon Watch, Earth Alliance o Rainforest Alliance
- Fai volontariato presso fondazioni e associazioni che si occupano di salvaguardare la Foresta Amazzonica, la sua fauna e la sua flora, e che valorizzano l’eredità delle popolazioni indigene – consulta le opportunità in Brasile, Ecuador, Perù, Bolivia e Paraguay su www.aynicooperazione.org
- Assicurati che la tua alimentazione sia sostenibile – se non sai come fare, segui i consigli del WWF –
- Metti la tua firma su una petizione in difesa della foresta e dei popoli che la abitano – ad esempio, quella di Greenpeace International () o le petizioni su Change.org ()
- Condividi notizie, post e consigli per sensibilizzare i tuoi contatti sui Social e spargere la voce
- Pianta un albero! Anche se non lo fai direttamente, puoi contribuire a opere di rimboschimento usando Ecosia (il motore i ricerca green) oppure donando a organizzazioni come Treedom
Per la foto di copertina si ringrazia Unsplush (la foto vuole rappresentare una situazione di emergenza generica, non un evento in particolare)