Come ci si difende dal Coronavirus nelle favelas, nelle villas e nei barrios pobres dell’America Latina, dove il problema non è tanto ammalarsi, quanto non saper cosa mettere nel piatto a fine giornata? Cosa fanno e possono fare le piccole associazioni di volontariato comunitarie e locali per sostenere la popolazione e permettere loro di andare avanti?
La settimana scorsa abbiamo parlato dell’arrivo del Coronavirus in Africa e dei timori legati alla debolezza del sistema sanitario in moltissimi paesi del continente. Se l’epidemia dovesse evolvere seguendo una curva simile a quella europea, le istituzioni potrebbero fare ben poco, quindi la soluzione è fermare l’epidemia sul nascere, ricorrendo ad un isolamento, in un certo senso, “preventivo”.
Gran parte dell’America Latina (con la macroscopica eccezione del Brasile) ha seguito una strategia simile: alle prime avvisaglie del contagio ha proclamato lo stato di emergenza ricorrendo alle misure più drastiche per scongiurare la diffusione del virus. Sebbene all’inizio queste misure sembrassero limitare veramente il contagio, nel giro di un mese i numeri sono cambiati e nelle ultime settimane abbiamo assistito ad un’impennata del numero dei casi accertati. Ma questa è solo una piccola parte del dramma che questo continente sta vivendo.
La quarantena è un lusso che molti non possono permettersi
Il vero dramma è che centinaia di migliaia di persone rischiano di morire di fame prima che di COVID-19. Nelle zone periferiche urbane più svantaggiate, la maggior parte dalla popolazione lavora in nero e alla giornata, guadagnando quel tanto che basta per tirare avanti. Con le misure restrittive imposte dai governi per salvaguardare la salute dei cittadini, gli ambulanti (venditori, saltimbanchi, lustrascarpe, riciclaggio…) non possono più lavorare. E non ci sono risparmi per superare la crisi.
Gli aiuti dei governi sono scarsi ed insufficienti per soddisfare l’enorme domanda. Le persone non sanno a chi rivolgersi per trovare un filo di speranza. La vita dei lavoratori “informali” era difficile anche prima, tra le incertezze e gli abusi, ma il Coronavirus ha messo a nudo una volta per tutte le crepe di una società che non si occupa degli ultimi. Per approfondire vi invitiamo alla lettura di un articolo che esemplifica il dramma vissuto nelle favelas e nelle villas: Nelle baraccopoli di Lima la fame uccide prima del virus
Le associazioni di volontariato contro il Coronavirus in America Latina
La maggior parte delle associazioni dell’Ayni Network sono state costrette a chiudere i battenti di fronte all’emergenza Coronavirus. Centri diurni, cooperative sociali, scuole e asili hanno dovuto interrompere le attività nel rispetto delle normative dei propri governi. D’altra parte, alcune associazioni devono necessariamente continuare ad operare, nonostante le enormi difficoltà imposte dall’attuale situazione.
Mi riferisco ad orfanotrofi e case di accoglienza a cui è affidata la cura di beneficiari che non hanno nessun altro posto dove andare. In questi casi, alle normali responsabilità dell’associazione si aggiunge la necessità di procurarsi dispositivi di protezione individuale, progettare strategie per scoraggiare il contagio all’interno delle strutture, fornire opportunità educative ai propri ragazzi nonostante la chiusura delle scuole, informare su quello che sta succedendo nel mondo e molto altro ancora.
Una situazione molto simile è quelle dei rifugi per la fauna a rischio. Venendo a mancare i proventi ricavati dalle interazioni con turisti ed istituti, le associazioni hanno il problema di non saper come alimentare e curare gli animali, correndo il rischio di vedere morire gli esemplari affidati alle loro cure.
Alcune storie delle associazioni dell’Ayni Network:
- EduMais, Brasile (centro diurno nelle favelas di Rio): nonostante le normali attività del centro siano sospese, EduMais continua a sostenere la comunità. Negli ultimi giorni hanno distribuito ceste di viveri alle famiglie per permettere loro festeggiare la Pasqua con il piatto pieno. Inoltre, attività e lezioni continuano online, fornendo non solo opportunità educative, ma anche un sostegno emotivo e psicologico.
- Honduras Child Alliance, Honduras (centro diurno): la chiusura delle attività ha visto il personale ed i volontari stranieri rimpatriati. Ma gli stagisti locali? Per permettere loro di continuare a lavorare, HCA sta offrendo lezioni di spagnolo online a prezzi stracciati impartite dai giovani stagisti honduregni. Magari vi va di partecipare?
- Comunidad Inti Yara Wassi, Bolivia (rifugio e centro di riabilitazione per fauna a rischio): il centro sta affrontando un momento di difficoltà economica nel quale anche solo trovare cibo per gli animali diventa difficile. Per fortuna possono contare sul sostegno del Ministero dell’Ambiente e della comunità internazionale di volontari che li sostiene! Stiamo cercando un volontario che contribuisca a gestire le comunicazioni dell’associazione.
- Clínica Primeros Pasos, Guatemala (clinica medica di base per popolazioni svantaggiate): l’assistenza medica fornita da Primeros Pasos diventa fondamentale in questa crisi. Le popolazioni della vallata di Palajunoj, in gravi difficoltà economiche, non possono permettersi un dottore, neanche se si trovassero in gravi condizioni di salute. La clinica sta facendo una raccolta fondi per dotarsi degli strumenti necessari per affrontare un’eventuale diffusione del virus nella zona.
- Qosqo Maki, Perù (centro diurno e di accoglienza niños de la calle) – non chiude i battenti Qosqo Maki perché #enlacallenohaycuarantena. È questa la campagna che stanno portando avanti diverse associazioni che lavorano con bambini ed adolescenti che vivono e lavorano per le strade. Pochi giorni fa, il 12 aprile, abbiamo celebrato la Giornata Internazionale dei bambini e degli adolescenti della strada.