In occasione della Giornata Mondiale del Volontariato 2019, che come ogni anno si celebra il 5 dicembre, voglio condividere con i lettori di Ayni alcuni consigli che io stessa avrei voluto ricevere prima di partire per la mia prima esperienza di volontariato all’estero.
Il momento in cui ho passato il controllo sicurezza perdendo di vista la mia famiglia che mi aveva accompagnato all’aeroporto è stato, in tutta onestà, terrificante. Emozionante, motivante, eccitante, certo, ma non per questo meno spaventoso. Perché per quanto uno si sia informato, abbia letto, si sia preparato, il momento in cui lasci la tua zona di comfort per andare incontro ad una realtà sconosciuta è sempre, piacevolmente, terrificante.
Alcuni anni fa, sono partita da sola per fare 6 mesi di volontariato autonomo con un’associazione britannica operativa in Perù: la Latin American Foundation for the Future. Era la prima volta che partivo come volontaria e la prima volta in assoluto che mi recavo in America Latina. Come spesso accade, le motivazioni che mi avevano spinto a partire erano svariate. Volevo “farmi le ossa” professionalmente, conoscere una realtà che da sempre esercitava un forte fascino su di me (quella latinoamericana) e rendermi utile.
Ne è valsa la pena? Si, al 100%. Se potessi tornare indietro rifarei tutto uguale? Magari non tutto. Ci sono alcune cose che potrei fare meglio, o diversamente. Ecco perché in questo post voglio condividere con voi, a partire dalla mia personale esperienza, alcune cose che avrei voluto sapere prima di fare volontariato all’estero.
1. Scegliere una buona associazione non è abbastanza: scegliete un programma di volontariato adatto a voi
In questo senso sono stata fortunata, ma proprio di fortuna dobbiamo parlare perché all’epoca non avevo compreso appieno quanto questo fattore fosse importante. Il fatto che un’associazione lavori egregiamente per il raggiungimento di obiettivi che condividete appieno non è abbastanza. Dovete poter capire anche la natura del programma di volontariato in sé, il livello di coinvolgimento e autonomia dei volontari, la struttura dell’accompagnamento, le aspettative dell’associazione e l’assistenza pratica fornita.
Nel mio caso, cercavo una missione che mi garantisse l’opportunità di dare il mio personale contributo, che mi lasciasse l’autonomia necessaria per mettermi alla prova e che mi consentisse di immergermi veramente nella realtà quotidiana di un’organizzazione per lo sviluppo internazionale, dal fundraising alla gestione dei progetti. E l’ho trovata!
Tutta questa libertà, però, viene con alcune condizioni. La prima sono certamente i requisiti di selezione: si cercano volontari con più esperienza e capacità. La seconda è che il volontario sappia badare a se stesso, perché maggiore è l’autonomia, minore è il sostegno offerto dall’associazione e maggiori sono le aspettative. Ad esempio, LAFF mi dava obiettivi da raggiungere, non istruzioni passo per passo, mentre alloggio, pasti e trasporti in loco erano una mia responsabilità e dovevo provvedere in modo autonomo.
Quindi cosa fa al caso vostro? Un programma molto strutturato o tanta libertà? O forse una via di mezzo?
2. Conoscere voi stessi e sapere cosa potete realmente offrire è fondamentale per capire se siete pronti per diventare volontari all’estero
Una cosa è quello che ci piacerebbe fare, tutta un’altra cosa è quello che possiamo fare veramente. A volte il nostro desiderio di aiutare e di partire ci fa dimenticare che il volontariato vale la pena (per noi e per gli altri) solo quando abbiamo realmente qualcosa da offrire. Quindi una domanda da farsi è: “Sono sicuro/a di poter fare quello di cui c’è bisogno?”
Io ho apprezzato moltissimo il dettagliato processo di selezione a cui mi ha sottoposto l’associazione britannica a cui avevo fatto domanda, perché mi ha aiutato a riflettere su quello che realmente avrei potuto offrire e quali difficoltà avrei potuto incontrare. Mi ha spinto ad un’attenta riflessione sulle mie capacità che invito tutti a fare! E non solo prendendo in considerazione le capacità professionali e l’esperienza, ma anche molto semplicemente le proprie capacità di adattamento a contesti abitativi, culturali e sociali diversi.
“A volte il nostro desiderio di aiutare e di partire ci fa dimenticare che il volontariato vale la pena (per noi e per gli altri) solo quando abbiamo realmente qualcosa da offrire”
3. Non tutti i giorni sono fantastici: preparatevi ad affrontare le difficoltà
Nessuno aveva sottolineato abbastanza questo aspetto, quando chiedevo informazioni. Siamo abituati a pensare che fare volontariato sia tutto sorrisi, obiettivi raggiunti e grossi abbracci di gruppo. Io stessa quando racconto delle mie esperienze di volontariato tendo sempre a sottolinearne gli aspetti più belli e gratificanti. Quasi nessuno vi racconterà degli aspetti negativi, primo tra tutti la frustrazione.
Perché, è meglio saperlo da subito, non tutti i giorni le cose andranno come devono. Ci saranno volte in cui i progetti non avanzeranno, volte in cui sembrerà impossibile ottenere risultati positivi. Altre volte, di 50 beneficiari che sarete riusciti ad aiutare ce ne sarà uno che non potrete aiutare, e non ve lo toglierete dalla testa. E poi magari un giorno vi guarderete intorno e penserete che non importa quanta fatica faccia l’associazione sul campo, le opportunità per quella comunità sono sempre troppo poche.
Insomma, non tutti i giorni da volontario sono felici e spensierati, per milioni di motivi diversi. L’importante è saperlo! Così, quando stress, frustrazione e delusione busseranno alla vostra porta sarete preparati, e magari riuscirete pure a farne tesoro…
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